Vai ai contenuti

Santi del 19 Febbraio

Il mio Santo > I Santi di Febbraio

*Beato Alvaro De Zamora da Cordova - Domenicano (19 febbraio)

Zamora, 1360 - Cordova, 1430
Nel 1368 entrò nel convento di San Paolo a Cordova. Laureatosi a Salamanca, fu in un primo tempo destinato a insegnare Sacra Scrittura, ma le sue straordinarie capacità si rivelarono quando l'obbedienza gli affidò il ministero della predicazione.
Fu emulo del suo confratello San Vincenzo Ferreri e con lui contribuì a sottrarre seguaci all'antipapa Benedetto XIII. Rinnovò con l'ardente parola e con l'esempio di vita austera l'Andalusia. Ritornato da un viaggio in Terra Santa, diffuse la devozione ad alcuni episodi della Passione: fu così tra gli iniziatori della Via Crucis. Fondò presso Cordova il celebre convento di San Domingo di Scala Coeli, centro propulsore della riforma domenicana in Spagna.
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, commemorazione del beato Alvaro, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, insigne per la predicazione e la contemplazione della Passione di Cristo. Alvaro da Cordova, come affermano antichi storici, appartenne alla nobilissima famiglia Cardona. Egli vestì l’Abito domenicano in tenera età, nel Convento di San Paolo in Cordova nell’anno 1368. Fu famoso e ardente predicatore e con gli esempi e con le opere contribuì alla riforma dell’Ordine inaugurata dal Beato Raimondo da Capua e dai suoi discepoli.
Di ritorno da un pellegrinaggio fatto in Terra Santa, riportò scolpito nel cuore il doloroso cammino del Calvario percorso dal Salvatore.
Desideroso di vivere un’esistenza solitaria e perfetta, dove poter temprare lo spirito per un più proficuo apostolato, col favore del Re, Don Giovanni II di Castiglia, di cui era confessore, poté fondare a tre miglia da Cordova il famoso e osservantissimo Convento di San Domenico Scala Coeli, dove dispose vari oratori che riproducevano la via dolorosa, da lui venerata in Gerusalemme.
Questa sacra rappresentazione fu imitata da altri Conventi, dando origine alla devozione tanto bella della Via Crucis, così cara alla pietà cristiana.
Di notte si recava in ginocchio a una grotta molto distante dal Convento dove, a imitazione del Santo Padre Domenico, pregava e si flagellava. Questa grotta divenne poi meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli. Ebbe il dono della profezia e operò miracoli. Morì il 19 febbraio del 1430, venendo sepolto nel convento da lui fondato. Papa Benedetto XIV il 22 settembre 1741 ha approvato il culto.
(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alvaro De Zamora, pregate per noi.

*Sant'Asia Medico - Martire ad Antiochia (19 febbraio)

É ricordato nel Martirologio di Rabban Slibá (sec. XIII), nei giorni 1 e 15 tesrín qdem (ottobre), 19 sbát (febbraio) e 27 tammúz (luglio), date prese probabilmente da martirologi diversi. Nella commemorazione del 15 tesrin qdem e del 27 tammúz Asia è chiamato anche Pantaleone e Pantaleemone.
In quest'ultimo giorno i Greci festeggiano San Pantaleone medico, col quale comunemente Asia viene identificato. Questa identificazione è però negata dal Nau, il quale sostiene che la leggenda di Asia appartiene all'ambiente siriaco, mentre quella di Pantaleone all'ambiente greco, e che esse differiscono notevolmente tra loro.
Tuttavia lo scrittore siro, che ha creato la figura di Sant'Asia, ha certo avuto presente la persona di San Pantaleone e ne ha fatto un doppione a vantaggio della sua patria, agevolato in questo dal fatto che Asia in siriaco vuol dire medico. Il Peeters (La passion de S. julien d'Emèse, in Anal. Boll., XLVII [1929], p. 58) dice esplicitamente: «Sant' Asià double de S. Pantéleemon le médecin».
La leggenda attribuisce ad Asia molte guarigioni operate in diversi luoghi, prima di morire in Antiochia.
(Autore: Filippo Caraffa - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Asia Medico, pregate per noi.

*San Barbato di Benevento – Vescovo (19 febbraio)

Benevento, 610 c. - Benevento, 29 febbraio 682
Nato a Vandano di Cerreto nei primi anni del VII secolo, Barbato studiò a Benevento e, divenuto sacerdote, iniziò il suo ministero a Morcone. Si impegnò così a fondo nella lotta contro le superstizioni e l'idolatria, che alla morte del vescovo Ildebrando il clero e il popolo di Benevento lo elessero come successore.
Fu pastore in un periodo segnato dalla guerra tra i Longobardi, che governavano il ducato di Benevento, e l'imperatore Costanzo II, che assediò a lungo la città. Riconoscente per il ruolo svolto dal Vescovo in un tempo difficile il duca Romualdo, uscito vincitore, sostenne l'azione pastorale del presule, rigettando lui per primo il culto idolatra dell'albero e della vipera, allora diffuso anche tra i cristiani.
Il Vescovo Barbato partecipò al Concilio di Roma del 680. Morì a Benevento il 19 febbraio 682, dopo aver guidato la diocesi per diciannove anni. Le sue spoglie sono venerate sotto l'altare maggiore del Duomo della città campana. (Avvenire)
Patronato: Benevento
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Presso Benevento, San Barbato, Vescovo, che si tramanda abbia convertito i Longobardi e il loro capo a Cristo.
La città di Benevento ha sempre riservato un culto particolare a questo suo santo vescovo, le cui reliquie furono poste sin dal 1687 sotto l’altare maggiore del Duomo, segno di grande venerazione sia del popolo, sia della gerarchia ecclesiastica.
Egli nacque nel villaggio Vandano del comune di Cerreto nei primi anni del VII secolo, studiò a Benevento e sacerdote operò fra le anime di Morcone. Come spesso capitava in quel periodo,
Barbato fu calunniato per cui dovette ritornare a Benevento e riconosciuta la sua innocenza, si dedicò alla lotta contro le superstizioni e l’idolatria imperanti in quell’epoca.
Divenne così popolare e ammirato per il suo zelo, che alla morte del vescovo Ildebrando, clero e popolo lo elessero vescovo della città. Nel secolo VII i Longobardi governavano il Ducato di Benevento guidati dal duca Romualdo, ma pur essendo cristiani, professavano ancora forme di superstizioni come il culto dell’albero e quello della vipera, lo stesso Romualdo ne era ostinato sostenitore.
Intanto la città di Benevento veniva posta sotto assedio dall’Imperatore Costanzo II, dopo la caduta di Siponto e l’invasione della Puglia; il duca trovò in Barbato un valido aiuto per la resistenza stimolando gli animi dei beneventani e quando la vittoria arrise ai Longobardi, egli riconoscente fece cessare, a partire dalla sua casa, il contestato e idolatra culto dell’albero e della vipera.
La sede vescovile fu allargata anche a vasti territori pugliesi e Teudorata, consorte di Romualdo divenne un valido e pio aiuto all’attività pastorale del Vescovo; partecipò al concilio di Roma del 680 e dopo diciannove anni di episcopato, morì a Benevento il 19 febbraio 682. Il suo culto ebbe subito una rapida estensione nel beneventano e anche nel salernitano, la prima traslazione delle reliquie avvenne nel 1124, la sua celebrazione liturgica è al 19 febbraio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Barbato di Benevento, pregate per noi.   

*Beato Bonifacio di Losanna – Vescovo (19 febbraio)
Bruxelles, 1180/1181 - La Chambre, 19 febbraio 1260
Etimologia:
Bonifacio = che ha buona fortuna, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A La Chambre nei pressi di Bruxelles nel Brabante, nell’odierno Belgio, deposizione del Beato Bonifacio, già Vescovo di Losanna, che condusse vita ascetica tra i Monaci Cistercensi del luogo.
Nato a Bruxelles nel 1181, o nel 1182, Bonifacio, dal 1222 al 1229 insegnò teologia all'università di Parigi, presso la quale si era laureato nella stessa disciplina.
In seguito allo sciopero dei suoi alunni, che protestavano perché alcuni di loro erano stati uccisi dalla polizia, Bonifacio abbandonò Parigi e si recò a Colonia per insegnarvi ancora teologia.
L' 11 marzo 1231 fu nominato Vescovo di Losanna, e lo zelo da lui posto nella riforma dei costumi dei fedeli e del clero, ma, specialmente, la fortezza con cui difese i diritti della Chiesa gli valsero le persecuzioni dei potenti.
L'imperatore Federico II mandò soldati a Losanna con l'ordine di ucciderlo e il beato, ferito, si salvò miracolosamente.
Gonsiderando, però, che non poteva più lavorare con frutto, il 15 luglio 1239 rinunziò alla diocesi e si ritirò a La Chambre, presso Bruxelles, fungendo da cappellano in un monastero di monache cistercensi.
Non risulta, però che Bonifacio sia entrato nell'Ordine. Nel 1245 prese parte al concilio di Lione e il 19 febbraio 1260 morì a La Chambre.
Il suo culto fu riconosciuto nel 1702 nell'Ordine cistercense, che ne celebra la festa il giorno anniversario della morte.
Una confraternita, eretta in suo onore a La Chambre, ebbe delle indulgenze nel 1851, mentre le reliquie, già a Bruxelles, nel 1935 furono trasportate a La Chambre.
(Autore: Alfonso Codaghengo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bonifacio di Losanna, pregate per noi.  

*San Conone di Alessandria d'Egitto - Monaco in Palestina (19 febbraio)
Visse nel VI sec. nel monastero di Pentucla, tra Gerico e il Giordano, di cui fu anche Abate.
Fu lodato soprattutto per la sua castità.
Morì verso il 555.
La sua festa si celebra il 19 febbraio.
(Fonte: Terra Santa)
Giaculatoria - San Conone di Alessandria d'Egitto, pregate per noi.

*San Corrado Confalonieri – Religioso, Eremita (19 febbraio)
Piacenza, ca. 1290 - Noto (Siracusa), 19 febbraio 1351
Nato a Piacenza nel 1290, era di nobili origini. Un giorno accusò un uomo innocente di un incendio appiccato da lui stesso durante una battuta di caccia.
Di fronte alla condanna a morte per l'uomo accusato ingiustamente Corrado si mosse e pietà e ammise la sua responsabilità. Dopo aver pagato i danni causati si ritrovò in povertà. Assieme alla moglie vendette gli averi restanti e ne diede il ricavato ai poveri. Abbracciate la regola di Francesco e Chiara decisero di diventare religiosi.
Corrado quindi divenuto Terziario Francescano si ritirò in eremitaggio.
Dopo aver vagabondato in solitudine approdò all'isola di Malta. Da qui riprese il mare e giunse al porto di Palazzolo e da qui a Noto Antica. Giunto nella Val di Noto vi passò trent'anni, tra la preghiera, il servizio e il romitaggio.
Gli si attribuiscono molti miracoli. Morì mentre era in preghiera, il 19 febbraio 1351. (Avvenire)
Etimologia: Corrado = consigliere audace, dal tedesco
Martirologio Romano: A Noto in Sicilia, Beato Corrado Confalonieri da Piacenza, eremita del Terz’Ordine di San Francesco, che, messi da parte gli svaghi mondani, praticò per circa quarant’anni un severissimo tenore di vita nell’orazione continua e nella penitenza.
Nato nel 1290 ca. da nobile famiglia a Piacenza, Corrado Confalonieri viveva secondo il suo stato, fra divertimenti e onori. All’età di venticinque anni ca., mentre era sontuosamente a caccia, con servi, cavalli, cani, furetti, falconi e astori, non riuscendo a stanare i conigli, fece appiccare il fuoco alla sterpaglia; l’incendio, alimentato dal vento, recò danni alle coltivazioni vicine e distrusse tutto. Non riuscendo a domarlo, tristemente se ne tornò a casa. Saputasi la cosa in città, le guardie di Galeazzo Visconti, signore di Piacenza, andarono sul luogo, e, trovato un uomo, credendolo colpevole, lo condussero in giudizio, dove fu condannato a morte, perché il danno era stato grandissimo. Corrado viene a conoscenza della ingiusta condanna, libera il malcapitato, affronta l’ira del Visconti, che, non potendolo condannare a morte perché nobile, lo priva dei suoi beni in città e fuori, riducendolo alla massima povertà. Corrado, spogliato delle ricchezze del mondo, decide di servire Dio.
Dopo avere raccomandati i servi a Dio, va a vivere in povertà fra un gruppo di religiosi; da essi viene accolto nell’Ordine e ammaestrato sulla via da seguire. Fatto un pellegrinaggio a Roma, se ne allontana e si reca in Sicilia, a Noto, nelle cui vicinanze resterà fino alla morte, in solitudine eremitica, senza tralasciare i contatti con gli abitanti del luogo. In un primo momento era vissuto alle Celle, presso Noto, con il beato Guglielmo Buccheri. Ma, poiché i Netini lo riverivano troppo, volle allontanarsi un poco, per maggiore solitudine.
La preghiera e il lavoro manuale sono la sua vita quotidiana, austera e parca nel cibo, tanto che le sue tentazioni sono soprattutto di gola; ma la sua perseveranza è fortissima e il diavolo, contro il quale combatte in continuazione, se ne torna sempre sconfitto.
Nella Vita beati Corradi, il più antico documento che abbiamo, scritta in dialetto siciliano da un anonimo verso la fine del Trecento, sembra di rileggere episodi e stile di vita come nei Fioretti di san Francesco e nelle Vitae Patrum (le vite degli antichi eremiti), oltre che nei Dialoghi di Gregorio Magno: aneddoti, miracoli, preghiera: anche gli uccelli si appoggiavano sulle sue spalle e sulle sue mani e cantavano dolcemente. Guarisce, con la preghiera e il segno della croce, un bambino ammalato di ernia: questo è il primo miracolo.
La fama di fra Corrado diventa sempre maggiore, ma egli torna nella sua spelonca a lodare Dio, a cui umilmente attribuisce tutto il bene che opera.
Lì è visitato dal vescovo di Siracusa, che ne riconosce la santità; al vescovo ed al suo seguito Corrado offre pane fresco, miracoloso, e, alla meraviglia del prelato, si dichiara peccatore aggiungendo che “Dio ha fatto questa cosa, per sua grazia”. Il santo, poi, andrà a Siracusa a parlare con il prelato, segno della sua venerazione per la gerarchia ecclesiastica, in un periodo in cui spesso i rapporti fra gli uomini di chiesa erano abbastanza turbolenti, specialmente per i problemi sulla povertà, che l’Ordine francescano aveva al suo interno e con la Curia papale ad Avignone.
Per accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione andava a Noto, dove c’era un prete suo devoto.
Nella Vita traspare anche la sua devozione verso la vergine Maria, come dimostra la preghiera, che il frate recita ad un suo amico e devoto, che gli aveva chiesto di insegnargli a pregare. Il suo saluto era l’evangelico e francescano (con molta probabilità il santo apparteneva al Terz’Ordine): “La pace sia con te”, oppure: “Cristo ti dia la pace”.
Dopo avere profetizzato prossima la morte, raccomandata l’anima a Dio, il santo muore, mentre ad Avola e a Noto le campane suonano da sole, annunciando così il glorioso trapasso. Gli abitanti delle due città accorrono per avere le reliquie; nello scontro, durissimo come una battaglia, grazie all’intervento miracoloso, nessuno resta ferito, nonostante le molte armi. Il fatto che il corpo di Corrado rimase fra i Netini dimostrò la volontà di Dio; fu perciò portato nella Chiesa Madre di Noto, dove fu seppellito. E nella Cattedrale barocca di Noto ancora oggi è conservato, in un’arca di argento di pregevole fattura, sulla cui sommità Cristo risorto è speranza e certezza di resurrezione per tutti.
Beatificato da Leone X nel 1515, Urbano VIII, nel 1625, concesse ai francescani di celebrarne la festa con Messa e Ufficio propri. Alcune notizie della sua vita, trasformate dalla leggenda, si sono imposte anche nell’iconografia, come il suo separarsi dalla sposa, che si fa monaca; nelle fonti però non c’è accenno a questo matrimonio. Generalmente il Santo è rappresentato come un vecchio, che dimostra molto più dei suoi anni, con la barba fluente, vestito da francescano, davanti ad un crocifisso e con il bastone a tau.
Bibl.: F. Rotolo, Vita Beati Corradi.
Testo siciliano del XIV-XV sec., Noto-Palermo, 1995. (Autore: Concetto Del Popolo)
Nato nel 1290; morto tra il 1351 ed il 1354; il suo culto fu approvato con il titolo di Santo dal Papa Paolo III. Di nobile origine Corrado amò i divertimenti e la vita di corte.
Un giorno su ordine di Corrado , i suoi servi appiccarono il fuoco al sottobosco per stanare una preda che il loro signore desiderava uccidere. Il fuoco dei suoi servi divampò e ben presto investì l'intera zona e danneggiò diverse case. Incapaci di gestire il fuoco, Corrado ed i servi
tornarono a casa e non proferirono parola su ciò che era accaduto. Un pover'uomo che si trovava in quelle zone a fare legna, fu accusato ingiustamente di aver appiccato il fuoco e fu condannato a morte. La coscienza di Corrado era profondamente turbata , ed egli preso da profondo rimorso confessò di essere il responsabile del fuoco, al fine di salvare la vita del disgraziato. I danni che dovette risarcire furono enormi, grandi infatti erano state le distruzioni apportate dall'incendio; Corrado e la sua sposa si impoverirono enormemente!
Ma questa profonda trasformazione aveva arricchito la sua spiritualità. Sembrò ad entrambi che il buon Dio li avesse chiamati all'abbandono di quella vita, tutta dedita ai piaceri di quel rango tanto potente. La coppia vendette gli averi restanti e ne diede il ricavo ai poveri del posto e abbracciate le regole di Francesco e Chiara decisero di diventare religiosi. Corrado quindi divenuto terziario francescano si ritirò in eremitaggio.
Da quel giorno la vita di Corrado cambiò, attratto dalla fede visse con grande austerità il resto della sua vita. Egli vagò per tanto tempo in solitudine e si trasferì in varie località, finché approdò nell’ isola di Malta, dove ancora esiste la grotta chiamata di San Corrado. Dall'isola di Malta ripreso il mare giunse al porto di Palazzolo e da qui a Noto Antica.
Nel Capovalle arrivò tra il 1331 e il 1335, per poi scegliere un posto isolato per la sua scelta vita eremitica. raccontati dai suoi contemporanei. fino a quando arrivo nel Val di Noto, dove passò trent'anni della propria vita. Gran parte della sua attività nel territorio netino fu trascorsa al servizio dei malati presso l'Ospedale di San Martino a Noto Antica ma poi vista la crescente fama di santità ed il continuo numero di visitatori decise di allontanarsi dalla città; passando gli anni restanti in eremitaggio insieme ad un altro monaco anacoreta oggi santo: Guglielmo Buccheri ( nobile netino).
Nella completa solitudine egli visse nella Grotta dei Pizzoni vicino Noto. Quì le sue preghiere rivolte a salvare gli uomini perduti, ad implorare grazie per i disastri, a soccorrere gli ammalati furono ascoltate da Dio ed a migliaia giungevano a lui,da tutto il Vallo. Numerosi sono i miracoli che a lui si ascrivono uno dei più i importanti è quello che vide per protagonista il Vescovo di Siracusa. Durante i suoi viaggi per la Diocesi, il prelato decise di fare visita all'eremitaggio (siamo alla fine della vita terrena di Corrado), gli attendenti del Vescovo stavano preparando le provvigioni per il ritorno quando il Vescovo, sorridendo, chiese a Corrado se avesse avuto qualcosa da offrire ai suoi ospiti. Corrado replico che sarebbe andato a vedere nella sua cella; egli tornò portando due pani appena sfornati, che il prelato accettò come miracolo! Corrado ricambiò la visita del vescovo, confessandolo, ed al ritorno lungo la strada egli fu circondato da uccelli cinguettanti che lo scortarono fino a Noto. Corrado morì mentre era in preghiera, il 19 Febbraio 1351, ed alla sua morte tutte le campane delle chiese netine per miracolo suonarono a festa.
Fu seppellito nella chiesa normanna di San Nicolò, dove la sua tomba fu contesa tra le due popolazioni di Noto e di Avola. Quasi immediatamente fu avviato il processo canonico di beatificazione, che si concluse molto tempo dopo con il Breve di Papa Leone X (12 luglio 1515) , istituendone ufficialmente il culto, già presente da secoli. Fra le peculiarità da segnalare c'è la festa del Santo in Agosto che celebra proprio l'arrivo del Breve Papaple e della prima processione avvenuta proprio in quella occasione (Libro Verde del comune di Noto).
Nell'arte Corrado e rappresentato come un eremita francescano ai piedi una croce, mentre la sua figura è circondata da uccelli. Talvolta il suo ritratto è riprodotto come un vecchio con la barba, piedi nudi, un bastone tra le mani ed un lungo mantello sulle spalle. Nei secoli le sue virtù taumaturgiche furono implorate ed invocate contro l'ernia.
(Autore: Gaetano Malandrino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Corrado Confalonieri, pregate per noi.

*San Dositeo – Monaco (19 febbraio)

Forse egiziano, fu Monaco in Palestina. Paggio di un alto ufficiale dell'esercito un giorno manifestò il desiderio di visitare Gerusalemme.
Nel Getsemani vide un quadro rappresentante l'inferno, che lo fece seriamente pensare al problema della sua salvezza eterna.
Decise di entrare nel monastero fondato e diretto dall'Abate Seridos vicino a Gaza.
Doroteo a cui Dositeo fu affidato per la formazione lo spinse alla mortificazione interna, all'umiltà, all'obbedienza e al distacco da tutto.
Ma il fisico del piccolo monaco non resistette a lungo al severo regime monastico. Si ammalò di tisi sopportata con esemplare pazienza.   É commemorato il 19 febbraio.
(Fonte: Terra Santa)
Giaculatoria - San Dositeo – Monaco, pregate per noi.

*Beata Elisabetta di Mantova (Bartolomea Picenardi) – Vergine (19 febbraio)

Mantova, 1428/30 - 19 febbraio 1468
Nata a Mantova, si consacrò a Dio prendendo l'abito dell'Ordine dei Servi di Maria, Possedeva una particolare devozione all'Eucarestia e alla Santissima Vergine. Si dedicò molto allo studio e alla meditazione delle Sacre Scritture.
Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Mantova, Beata Elisabetta Picenardi, Vergine, che, indossato l’abito dell’Ordine dei Servi di Maria, condusse nella casa paterna una vita consacrata a Dio, accostandosi assiduamente alla santa comunione e attendendo con impegno alla Liturgia delle Ore e alla meditazione delle Scritture, devotissima della Vergine Maria.
La Beata Elisabetta Picenardi nacque a Mantova tra il 1428 e il 1430 dal nobile cremonese Leonardo e dalla mantovana Paola Nuvoloni. Il padre era al servizio dei Gonzaga e aspirava per lei un matrimonio
con qualche nobile della città, ma lei invece decise di restare vergine come Maria, di cui aveva una intensa devozione.
La decisione era certamente scaturita dall’influenza della frequentazione con i frati dei Servi di Maria, del vicino convento di S. Barnaba, che nel 1448 era passato all’allora recente Congregazione dell’Osservanza.
Vestì l’abito delle ‘Mantellate’ a 20 anni, le quali operavano nelle loro abitazioni ma collegate fra loro essendo religiose; la sua vita consacrata fu breve ed intensa, non presentando esteriorità di rilievo.
Divenne ben presto orfana della madre e dopo la morte del padre, avvenuta nel 1465, lasciò la casa paterna ritirandosi in casa della sorella Orsina sposata con Bartolomeo Gorni, in una cella a lei riservata. Abitava nella contrada del Cigno, poco distante dalla chiesa di S. Barnaba dei Servi di Maria, in cui si recava ogni giorno, ricevendo spesso l’Eucaristia, cosa rarissima secondo le usanze dell’epoca, confessandosi dal suo padre spirituale fra’ Barnaba da Mantova e recitando il Divino Ufficio come i religiosi; per la sua grande devozione alla Madonna, tanti si rivolgevano a lei per ottenerne l’intercessione.
Un anno prima della morte, di cui presagì il momento, stese il testamento lasciando il proprio breviario e trecento ducati ai Servi. Morì il 19 febbraio 1468; nel prepararne la salma, si scoprì che portava il cilicio e una ruvida fascia penitenziale; venne sepolta nella tomba di famiglia in S. Barnaba, ebbe subito un fama di santità e di operatrice di miracoli fra cui quello della salvezza di una bambina caduta nel lago e rimasta per mezz’ora sott’acqua.
Vi è un affresco datato 1475 che la raffigura con l’abito delle suore dei Servi, il suo corpo a seguito delle soppressioni francesi del 1799, fu trasferito nella chiesa dell’oratorio gentilizio del castello di Tor de’ Picenardi, nella zona di Cremona, in seguito fu sistemato nella chiesa parrocchiale locale. Papa Pio VII il 20 novembre 1804 ne approvò il culto, esteso oltre che all’Ordine dei Servi, alle diocesi di Mantova e Cremona.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elisabetta di Mantova, pregate per noi.

*Beato Federico di Hirsau – Abate (19 febbraio)

+ Heidelberg, Germania, 8 maggio 1071
Originario di una nobile famiglia sveva, Federico divenne nel 1065 il primo Abate del ricostruito monastero di Hirsau.
Sotto la sua guidatale monastero benedettino conobbe una grande fioritura; ciò nonostante, Federico, fu deposto dalla sua carica nel 1069, perché calunniato da alcuni monaci a lui sfavorevoli.
Morì l’8 maggio 1071, nel Monastero di San Michele, presso Heidelberg.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 19 febbraio. Nato all'inizio del sec. XI, da nobile famiglia sveva, ed entrato fra i Benedettini di Einsiedeln, fu incaricato di riaprire, a capo di dodici monaci, il monastero di Hirsau, presso Calw nella Selva Nera, per venire incontro al desiderio del Papa Leone IX, zio del conte Adalberto di Calw, divenendone abate il 7 marzo 1066.
Il suo rigore dispiacque ad alcuni monaci che chiesero al conte di Calw che Federico venisse deposto.
Non avendo ottenuto subito quanto volevano, i malcontenti non indietreggiarono neppure davanti a gravissime calunnie contro il loro abate, il quale, infine, dovette dimettersi, nel 1068, ma rimase, con eroica pazienza e umiltà, in mezzo ai suoi confratelli finché l'Abate Udalrico di Lorsch gli offrì una cella nel convento di Ebersberg presso Heidelberg.
Vi morì il 18 maggio 1071.
La sua memoria si celebra in questo giorno ad Einsiedeln e il 19 febbraio in altri monasteri benedettini.
(Autore: Gebhard Spahr – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Federico di Hirsau, pregate per noi.

*San Giorgio - Monaco di Vabres, Vescovo di Lodeve (19 febbraio)
Martirologio Romano: Nel Monastero di Vabres nel territorio di Rodez in Aquitania, in Francia, San Giorgio, Monaco.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giorgio - Monaco di Vabres, Vescovo di Lodeve, pregate per noi.

*Beato Giovanni Sullivan - Sacerdote Gesuita (19 febbraio)

Dublino, Irlanda, 8 maggio 1861 – 19 febbraio 1933

John Sullivan, irlandese di Dublino, era figlio di padre protestante e madre cattolica. Allevato secondo la confessione protestante, si distaccò gradualmente dalla pratica religiosa, mentre eccelleva negli studi e conduceva uno stile di vita brillante. Gradualmente si avvicinò al Cattolicesimo, diventando a tutti gli effetti membro della Chiesa cattolica nel dicembre 1896. Stupì ancora di più amici e parenti quando annunciò il suo ingresso tra i Gesuiti: professò i primi voti l’8 settembre 1902 e fu ordinato sacerdote il 28 luglio 1907. La sua fu una vita di completa dedizione, sia ai futuri membri della Compagnia di Gesù, sia ai malati e ai poveri, arricchita da doni eccezionali. Morì nell’ospedale di St Vincent a Dublino il 19 febbraio 1933, per una cancrena intestinale. È stato beatificato a Dublino il 13 maggio 2017, sotto il pontificato di papa Francesco. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa di San Francesco Saverio a Dublino, in Gardiner Street.
Infanzia e famiglia
John Sullivan nacque a Dublino, in Irlanda, l’8 maggio 1861, figlio di Edward Sullivan, avvocato di confessione protestante, e di Elizabeth Bailey, nativa di una famiglia di proprietari terrieri, cattolica. Venne battezzato il 15 giugno 1861 nella chiesa protestante di San Giorgio e allevato secondo le tradizioni religiose protestanti: l’usanza tra le famiglie con coniugi di confessione mista, infatti, era che le figlie femmine dovessero essere educate nella fede della madre, mentre i maschi in quella del padre.
Nella sua famiglia, che contava anche tre fratelli e una sorella, il clima era piacevole e aperto alla tolleranza religiosa. Dal padre imparò un intenso amore per gli studi; dalla madre, invece, apprese una profonda spiritualità. I Sullivan erano benestanti e, quando il capofamiglia divenne Lord Cancelliere d’Irlanda, divennero ancora più rinomati e interessati, per questo motivo, a dare ai figli un’educazione di qualità.
Nelle migliori scuole d’Irlanda
Di conseguenza, John fu dal 1873 allievo della Portora Royal School, seguendo le orme dei suoi fratelli. L’istituto era molto famoso nell’ambito protestante: tra i suoi allievi c’era anche lo scrittore Oscar Wilde. Gli inizi del ragazzo nella nuova scuola non furono felici, anzi, come dichiarò in seguito, furono bagnati di lacrime. Col tempo, però, si gettò pienamente negli studi, tanto da piangere di nuovo, ma dal dispiacere, quando terminò il corso di studi.
Proseguì la sua formazione al Trinity College di Dublino, studiando Lettere: nel 1885 ottenne una medaglia d’oro per i suoi eccellenti risultati. Per il resto, conduceva una vita non dissimile da quella dei suoi colleghi: aveva un’intensa vita sociale e amava vestirsi alla moda, tanto che un amico di famiglia lo definì "l’uomo meglio vestito di tutta Dublino". Nello stesso periodo, smise di frequentare la Chiesa protestante.
Un buon partito dall’animo inquieto
Nell’aprile 1885, la morte del padre gettò John in uno stato di profonda disperazione: gli era molto affezionato e, per seguire la carriera che il genitore aveva designato per lui, era passato a studiare Diritto. Per la sua acuta capacità di giudizio, fu scelto per alcune missioni diplomatiche, come quella d’indagare sul massacro degli Armeni ad Ardana nel 1895. Inoltre, i beni ricevuti in eredità dal padre lo rendevano, insieme alle sue maniere eleganti, un ottimo partito per le donne dell’alta società dublinese dell’epoca.
Tuttavia, qualcosa nel suo animo si stava iniziando a muovere. Ai suoi amici pareva che non avesse particolari interessi religiosi, ma aveva da poco scoperto le «Confessioni» di sant’Agostino. Sentiva di avere molto in comune con lui, a cominciare dal suo scetticismo iniziale, ma anche perché sapeva che sua madre, come santa Monica con il figlio, pregava per la sua conversione.
Membro della Chiesa cattolica
Gradualmente iniziò a incuriosirsi verso il Cattolicesimo, tanto da approfittare del suo soggiorno estivo in un albergo di Derry per unirsi alle lezioni di catechismo impartite a una ragazzina, Ester O’ Kiely. Spesso, poi, andava a visitare i malati e i moribondi negli ospizi, per dare loro qualche parola di conforto, insieme a piccoli regali.
Così, nel dicembre 1896, John venne ricevuto nella Chiesa cattolica. Sua madre ne era felicissima, mentre il resto della famiglia era rimasto sconvolto: non solo perché lui fosse diventato cattolico, ma anche perché all’esterno continuava ad apparire indifferente alla religione in genere. Negli anni seguenti, di pari passo al suo lavoro di avvocato, prese a visitare ospedali, ospizi e conventi, sempre pronto ad aiutare le suore che vi prestavano servizio. Dagli abiti eleganti passò a indumenti più dimessi, sulla scorta di san Francesco d’Assisi, un altro dei suoi santi preferiti.
Nella Compagnia di Gesù
Lo stupore di amici e parenti fu ancora più grande quando John comunicò la sua intenzione di entrare nella Compagnia di Gesù. Nel 1900, quindi, entrò in noviziato nel collegio San Stanislao a Tulamore e professò i primi voti l’8 settembre di due anni dopo.
Proseguì gli studi filosofici al collegio gesuita di Stonyhurst e, nel 1904, passò alla casa di Miltown Park per il corso teologico. Non era solo serio negli studi, ma anche di buon umore, tanto che un suo connovizio, monsignor John Morris, ha dichiarato: «Non fosse stato per il suo senso dell’umorismo, ci avrebbe sopraffatti, dato che eravamo tutti consapevoli che fosse molto santo».
Sacerdozio e primi incarichi
Fu ordinato sacerdote il 28 luglio 1907. Come primo incarico, fu assegnato alla comunità del collegio di Clongowes Wood, dove avrebbe trascorso gran parte della sua esistenza. Stando a molte testimonianze, non era un insegnante molto capace, ma era benvoluto dagli studenti, che spesso portava a fare passeggiate nei dintorni del collegio.
Se con gli altri era indulgente, non altrettanto era con la propria persona: mangiava cibi ordinari e viveva in continuo spirito di penitenza; dormiva spesso per poco più di due ore per notte, pregava fino a tardi e si alzava prestissimo per continuare l’indomani. Le sue vesti erano logore e i suoi stivali sfondati; non accettò mai di prenderne un paio nuovi. Trascorreva in cappella ogni momento libero ed era così raccolto da accorgersi a stento della presenza di altre persone.
Vicino agli ammalati
La sua fama di santità si estese a tutta Clongowes e paesi vicini: sempre più di frequente si vedevano carretti o automobili che gli portavano ammalati da benedire. Se qualcuno non riusciva proprio a muoversi, andava lui, a piedi o su una bicicletta mezza rotta. Intenso era anche il suo apostolato nel confessionale, come anche quello tramite le lettere che inviava a chi gli scriveva da gran parte delle contee d’Irlanda.
Non tardò molto che iniziarono a diffondersi voci di guarigioni miracolose ottenute tramite la sua preghiera e la sua benedizione col Crocifisso della professione religiosa, dono di sua madre, che gli era stato concesso di poter tenere con sé. Furono riscontrati anche casi in cui anticipò a qualche malato che sarebbe morto di lì a poco.
Rettore a Rathfarnam in anni difficili
Nel 1919 padre Sullivan divenne rettore di Rathfarnham Castle, casa per gli scolastici Gesuiti che
dovevano frequentare l’università. In anni turbolenti per l’Irlanda, che portarono all’indipendenza del Paese, dovette spesso placare gli animi degli studenti, alcuni dei quali avevano amici o parenti coinvolti nella guerra civile.
Intanto continuava a dispensare i suoi consigli a quanti, tormentati dagli scrupoli, ricorrevano a lui, che rispondeva: «Quando Dio mi perdona i peccati, li seppellisce sotto una grossa lapide. Disseppellirli è un sacrilegio», oppure: «La gente dimentica che "Credo nella remissione dei peccati" è un articolo di fede».
Di nuovo a Clongowes
Tornò a Clongowes cinque anni dopo, mentre lo Stato Libero d’Irlanda cercava di riunire i cittadini dopo la guerra civile. Padre Sullivan era convinto più che mai che l’istituto doveva formare la futura classe dirigente d’Irlanda: in effetti, molti ministri dei governi degli anni ’20 furono suoi allievi.
Riprese a visitare i malati dei dintorni e, di nuovo, si moltiplicarono le guarigioni a lui attribuite: una delle più celebri riguarda un nipote di Michael Collins, il primo presidente dello Stato Libero d’Irlanda, che portava il suo stesso nome, colpito da paralisi a tre anni e guarito dopo che lui ebbe pregato per lui e imposto le mani sulla gamba paralizzata. Altri malati non furono guariti nel fisico, ma consolati nelle sofferenze morali causate dalle malattie.
La morte
Quanto a padre Sullivan, la sua salute andava peggiorando sempre di più a partire dal 1929. Il 5 febbraio 1933 fu colto da un acuto mal di stomaco e venne condotto di corsa all’ospedale di St Vincent a Dublino: aveva l’intestino in cancrena e venne operato d’urgenza.
L’indomani ricevette la Comunione e continuò a pregare a voce alta finché, verso mezzogiorno, la suora infermiera che l’aveva in cura, madre Tecla, gli ordinò: «Penso che lei abbia pregato abbastanza e abbia offerto le sue sofferenze a Dio; ora deve riposare». Il paziente acconsentì, ma aggiunse subito: «Lei, però, continui».
Nel pomeriggio venne a trovarlo padre Gorge Roche, rettore di Clongowes, che gli domandò un messaggio per gli allievi: «Dio li benedica e li protegga», mormorò. Verso le tre pomeridiane cadde in stato di semi-incoscienza, per diventare del tutto incosciente verso le sei. Morì quindi serenamente alle 23 del 19 febbraio 1933.
La reazione dei fedeli
La notizia della sua morte commosse molti: la camera ardente era continuamente piena di uomini e donne di ogni condizione sociale e stato di vita, che pregavano o cercavano di ottenere qualche sua reliquia; perfino i giovani medici e gli studenti dell’ospedale gli tagliarono qualche ciocca di capelli.
La stessa scena si ripeté al termine dei suoi funerali nella chiesa aperta al popolo del collegio gesuita di Clongowes, quando molti si misero in coda per toccare la bara con corone del Rosario, crocifissi o altri oggetti di devozione. Al vedere quella forma di devozione e affetto, il fratello del defunto, William Sullivan scoppiò a piangere.
La fama di santità e l’avvio del processo di beatificazione
La fama di santità di padre John Sullivan non venne meno col tempo, tanto che nel 1943, due anni dopo l’uscita della sua prima biografia, il Padre provinciale dei Gesuiti irlandesi inviò un questionario ai suoi confratelli che l’avevano conosciuto, circa l’opportunità di aprire la sua causa di beatificazione: la risposta fu affermativa. L’anno successivo, il postulatore generale della Compagnia di Gesù, padre Carlo Micinelli, inserì il suo nome in una lista di potenziali candidati agli altari.
Infine, nel 1947, si formò il tribunale ecclesiastico per il processo informativo, la cui prima sessione si svolse nella chiesa di San Francesco Saverio a Dublino, dove, nel 1960, vennero traslati i resti mortali del Servo di Dio John Sullivan.
Le altre tappe del processo
Dopo che i documenti della causa furono tradotti in italiano, vennero esaminati nel 1969 dalla Sacra Congregazione dei Riti (l’organismo competente all’epoca), mentre nel 1972 il nuovo Dicastero delle Cause dei Santi diede l’approvazione agli scritti del Servo di Dio. Nel giugno 2002, i risultati di un’indagine suppletiva, svolta ancora nella diocesi di Dublino, furono trasmessi alla Santa Sede; la "Positio super virtutibus" venne consegnata nel 2004.
I consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi diedero parere positivo circa l’esercizio delle virtù eroiche da parte di padre Sullivan, che poté essere chiamato Venerabile dopo la promulgazione del relativo decreto, il 10 febbraio 2006.
Il miracolo e la beatificazione
Come potenziale miracolo per ottenere la sua beatificazione è stata valutata la guarigione di Delia Farnham, dublinese, da un tumore al collo, avvenuta nel 1954. Il decreto che l’approvava è stato promulgato il 26 aprile 2016.
Il rito della beatificazione, presieduto dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre, è stato celebrato il 13 maggio 2017, la prima del genere sul territorio irlandese.
Ancora oggi, la tomba del Beato John Sullivan è visitata da moltissimi fedeli da gran parte d’Irlanda, che vengono a visitarlo come già accadeva quand’era in vita. I Gesuiti della chiesa di Gardiner Street continuano a portare in varie località la reliquia del crocifisso di padre Sullivan per impartire, come faceva lui, la benedizione divina.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giovanni Sullivan, pregate per noi.

*Beato Giuseppe (Jozef) Zaplata - Religioso e Martire (19 febbraio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Jerka, Polonia, 5 marzo 1904 – Dachau, Germania, 19 febbraio 1945
Il Beato Jozef zappata, religioso professo della Congregazione dei Frati del SS. mo Cuore di Gesù, nacque a Jerka presso Koscian il 5 marzo 1904 e morì a Dachau, Germania, il 19 febbraio 1945.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beato Giuseppe Zapłata, religioso della Congregazione del Sacratissimo Cuore di Gesù e martire, che, tradotto per la sua fede con violenza dalla Polonia, sua patria, ad una crudele carcerazione, colpito da malattia portò a compimento il suo martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Zaplata, pregate per noi.

*Santa Lucia Yi Zhenmei - Catechista cinese, Martire (19 febbraio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Cinesi” (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni) 9 luglio - Memoria Facoltativa

Mainyang, Sichuan (Cina), 17 gennaio 1815 – Kaiyang, Guizhou (Cina), 19 febbraio 1862
Martirologio Romano:
In località Kaiyang presso Mianyang nella provincia di Sichuan in Cina, Santa Lucia Yi Zhenmei, vergine e martire, che per aver confessato la fede cattolica fu condannata alla decapitazione.
Il Cristianesimo fu annunciato in Cina sin dal V secolo e all'inizio del VII secolo vi fu eretta la prima chiesa. Grazie allo spirito profondamente religioso dei cinesi verso l'Essere Supremo, e la devota e filiale pietà verso gli antenati defunti; il Cristianesimo poté fiorire in questo immenso Paese nei secoli successivi, fino a costituire nel XIII secolo, la prima missione cattolica nel “Regno di Mezzo”, con la sede episcopale a Belfin.
A partire dal XVI secolo, quando le comunicazioni fra Oriente ed Occidente incominciarono ad essere più frequenti, la Chiesa Cattolica intese intensificare l'apporto del Vangelo fra quelle popolazioni, dalle tradizioni culturali e religiose tanto profonde e inviò vari missionari scelti con accuratezza, fra cui Matteo Ricci gesuita, per istaurare rapporti oltre che religiosi anche sociali e scientifici.
L'ottimo lavoro di questi pionieri, non solo della religione cattolica, ma anche della cultura occidentale, portò nel 1592 l'imperatore “figlio del cielo” K'ang Hsi, ad emanare il primo decreto di libertà religiosa, in virtù del quale, i sudditi potevano aderire al cristianesimo ed i missionari potevano predicarla dappertutto; raccogliendo molte migliaia di conversioni e di cinesi battezzati.
Ma a partire dalla prima decade del XVII secolo, le cose cambiarono; la penosa questione dei 'riti cinesi' irritò l'imperatore e la forte influenza del vicino Giappone ostile al Cristianesimo, diede adito alle persecuzioni che in vari modi, apertamente o velate, in successive ondate fino alla metà del secolo XIX, apportarono l'uccisione di tanti missionari e di moltissimi fedeli laici cinesi, distruggendo non poche chiese.
San Francesco Fernandez de Capillas dell'Ordine dei Predicatori, martirizzato nel 1648, è considerato come Protomartire della Cina; fu il primo di una lunga teoria di martiri missionari occidentali, appartenenti ai vari Ordini religiosi come i Domenicani, i Francescani, gli Agostiniani, i sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi, i Lazzaristi, le Francescane Missionarie di Maria, verso la fine del lungo periodo di persecuzione anche i Gesuiti, sempre rispettati sin dall'inizio, ebbero i loro martiri nel luglio 1900; in seguito anche i salesiani di don Bosco, nel 1930 ebbero due martiri i Santi Luigi Versiglia e Callisto Caravario.
A loro si aggiunsero nei quasi tre secoli di persecuzione, uno stuolo di sacerdoti, seminaristi,
religiosi e qualche vescovo della giovane Chiesa Cinese, che prometteva frutti spirituali di conversione e stabilità autonoma.
Inoltre una folla di fedeli cinesi, che, benché molti avessero apostato a paura delle persecuzioni, seppero resistere e testimoniare con il loro sangue la fedeltà a Cristo, spesso insieme ai loro familiari.
Fra loro spiccano le tante figure di catechiste e catechisti laici, che forti della loro fede nei principi cristiani che avevano ben assimilato, tanto da ricevere il compito di insegnarli agli altri, seppero testimoniare fino in fondo il loro entusiasmo, la freschezza dei neofiti, la fedeltà ai padri missionari, spesso subendo il martirio insieme ad essi.
Di questo numerosissimo stuolo di martiri, religiosi e laici, il 1° ottobre 2000, ne sono stati proclamati Santi 120, da Papa Giovanni Paolo II; appartenenti a vari gruppi, già beatificati in date diverse e confluiti tutti insieme nella solenne canonizzazione.
Si vuole qui ricordare un'umile catechista laica cinese, Yi Zhenmei (Lucia), in rappresentanza delle migliaia e migliaia di martiri locali, più o meno noti, che come lei seppero affrontare i tormenti e la morte, per mano di connazionali, specie i famigerati “boxers”, che per motivi politici ed economici o di intolleranza e invidia dei bonzi, scatenarono le lunghe e sanguinose persecuzioni contro “la religione degli odiati stranieri”.
Yi Zhenmei nacque il 17 gennaio 1815 a Mainyang, Sichuan (Cina), ultima di cinque fratelli; il padre era un cattolico da poco convertito dal buddismo.
A dodici anni, prese il nome di Lucia e si consacrò al Signore, mentre i genitori, secondo le usanze l'avevano promessa sposa. Non sapendo come liberarsi dalla situazione creatasi, Yi Lucia si finse pazza, facendo così cadere gli accordi matrimoniali anche per il futuro.
Riprese i suoi studi per diventare maestra di scuola e nel contempo poté dedicarsi alla crescita della sua vita spirituale.
Dai missionari cattolici, ebbe l'incarico di insegnare il catechismo e trascorreva serena i suoi giorni tra le faccende domestiche, la cura degli ammalati e l'apostolato catechistico.
Ormai giovane adulta, decise di separarsi dalla famiglia e andò a vivere dalle suore missionarie; sopraggiunse poi una grave malattia che la obbligò a ritornare nella sua casa; in quest'occasione persone malevoli gettarono ombre sulla sua moralità, tanto che anche la superiora lo credette; i suoi familiari volevano vendicarsi, ma lei vi si oppose, sopportando tutto pacificamente e con pazienza.
Fu chiamata poi dal vescovo di Kweichow che le affidò il compito d'insegnare il catechismo nei villaggi del Vicariato; superando le difficoltà poste dalla famiglia, che temeva nuovi pericoli per lei, Yi Zhenmei Lucia si mise subito al lavoro, coadiuvando nel contempo l'opera missionaria di padre Giovanni Pietro Néel, delle Missioni Estere di Parigi, anche lui martire e proclamato santo il 1° ottobre 2000.
Durante la persecuzione scatenata dalla setta “Ninfa Bianca”, fu presa dai soldati; durante il solito interrogatorio le furono fatte proposte vantaggiose se avesse rinunziato alla religione cristiana, la richiesta era appoggiata anche dall'ex fidanzato, che aveva conservato per lei affetto e stima.
Lucia Yi rifiutò con fermezza e pertanto fu condannata alla decapitazione, accettò con dignità la condanna ribellandosi solo quando la si voleva spogliare prima della sentenza, riuscendo ad evitare tale umiliazione.
Fu decapitata il 19 febbraio 1862 a Kaiyang, Guizhou (Cina), aveva 47 anni; il 18 e 19 febbraio furono uccisi oltre padre Néel, anche tre catechisti uomini con Lucia Yi. Il suo copricapo, bagnato di sangue, fu portato in casa e guarì all'istante la nipote Paola, gravemente ammalata, alla quale era stato poggiato sul corpo.
Fu dichiarata venerabile con il gruppo dei martiri di Guizhou il 2 agosto 1908, e beatificati il 2 maggio 1909 da Papa S. Pio X. La sua festa con il gruppo di Guizhou è il 19 febbraio e con tutti i 120 martiri canonizzati il 1° ottobre 2000, il 9 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Lucia Yi Zhenmei, pregate per noi.

*San Mansueto di Milano – Vescovo (19 febbraio)

Etimologia: Mansueto = docile, affabile, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Milano, San Mansueto, vescovo, che combatté strenuamente contro l’eresia monotelita.
Fra le tante delicate questioni cristologiche sulle quali dibatteva la teologia dei primi secoli della Chiesa, si annovera anche quella riguardante la presenza di una o due volontà in Cristo. Nel primo caso si parlava di monotelismo, nel secondo caso di duotelismo.
Il dissidio esplose nel settimo secolo con un oriente prevalentemente monotelista. Tale dissidio riscontrò anche interventi imperiali che, fra l'altro, arrivarono a proibire sotto pene severissime il proseguimento della disputa.
In diversi concili la questione fu invece affrontata con condanne ingravescenti nei confronti dell'errore pernicioso del monotelismo.
Questa posizione era, in ultima analisi, una ripresa eretica sottile sulla vera natura di Gesù Cristo che la Chiesa proclama e vero Dio e vero uomo. La dottrina ortodossa delle due volontà in Cristo fu
ribadita dal Concilio del Laterano (ottobre 649) e costò la morte, da parte dell'imperatore, al Papa Martino I che l'aveva convocato e nel senso duotelista orientato.
La discussione si trascinò ancora nel tempo e vi prese parte, fra gli altri, San Mansueto, quarantesimo vescovo di Milano, la cui festa ricorre il 19 febbraio. La sua partecipazione al concilio di Roma del marzo 680 ebbe proprio questo significato: disapprovare il monotelismo e mettere in chiaro come in Cristo coesistessero le due volontà e come la volontà umana, pur soggetta alla divina volontà, rimanesse ugualmente attiva.
San Mansueto fu talmente convinto che stando dalla parte di Gesù si stava anche dalla parte dell'Uomo che contro il monotelismo fu strenuo e tutt'altro che mansueto combattente sia come vescovo sia come organizzatore e scrittore. Contro la subdola eresia (che, come spesso capita anche ai nostri giorni, gioca familiarmente a nascondino) egli scrisse infatti un libro significativo per dottrina e argomentazione.
Si è detto che la festa di San Mansueto ricorre, come vuole il "Martirologio Romano", il 19 febbraio. Nella liturgia ambrosiana è tuttavia "spostata" al 2 settembre perché in Quaresima, da quelle parti, non vanno ricordati i santi. Anche per questo aspetto di nomadismo in casa propria S. Mansueto appare simpatico.
Ma vi è un altro particolare di defenestrazione attraverso la fenestrazione (l'ufficialità?).
Si sa che per molti santi vi è scarsa o nessuna iconografia, oggigiorno. Ebbene: nella basilica di S. Ambrogio a Milano esiste un affresco, che si fa risalire al sec. VII, il quale rappresenta in sostanza la condanna dell'eresia del monotelismo.
La figura centrale doveva sicuramente rappresentare Mansueto vescovo.
Tale figura è andata distrutta in conseguenza dell'apertura in quella parete di un finestrone! Sempre dalla parte dell'Uomo: ecco San Mansueto.
(Autore: Mario Benatti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mansueto di Milano, pregate per noi.

*Santi Martiri di Palestina (19 febbraio)

Martirologio Romano:
Commemorazione dei Santi Monaci e degli altri Martiri che in Palestina per la fede di Cristo furono uccisi crudelmente dai Saraceni guidati da Mūndhīr III.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Palestina, pregate per noi.

*San Proclo (Prodo) di Bisignano (19 febbraio)
Martirologio Romano: A Bisignano vicino a Cosenza, San Proclo, monaco, che, pieno di eccellente dottrina, fu araldo di vita monastica.
Le più antiche notizie su San Proclo da Bisignano provengono dal Bios si S. Nilo, risalente agli inizi del secolo XII, dove si legge: “il beatissimo e santissimo Proclo, personaggio fornito di un’istruzione enciclopedica, il quale aveva fatto della sua mente un’arca di opere tanto profane che sacre.
Prima di rendersi monaco, essendo ancora giovane, nel suo paese teneva questo metodo di vita: rimaneva digiuno ogni giorno fino alla ora del vespero, attenendo alla lettura e astenendosi da vivande cotte al fuoco o da bevande gustose; dal vespero in poi sino a mattino visitava tutte le chiese del paese recitando l’intero salterio e facendo alla porta di ciascuna chiesa tante prostrazioni, che s’era prescritte e che Dio solo conosce.
Entrato nella vita monastica, e rivestito dal nostro Santo Padre Nilo dell’abito della vita virtuosa, si assoggettò a tanta astinenza ed a tale rigida ascetica, da mortificare effettivamente le sue membra terrene ed incontrare molestissime malattie sino all’ultimo respiro della sua vita.
Il passo del Bios niliano ci presenta Proclo come un uomo dotato di vastissima cultura, conoscitore di innumerevoli opere sacre e profane, divulgate e non ancora trascritte, tanto sa essere chiamato "enciclopedia vivente".
La straordinaria erudizione di Proclo presuppone una sua origine nobiliare e, probabilmente, a proposito del suo praticare di nascosto una vita di penitenza e di mortificazioni, una sua partecipazione all’amministrazione della vita pubblica.
Non si sa nulla della morte del Santo, ma si fa risalire all’anno 975 d.C.
Una rivendicazione di appartenenza al proprio ceppo familiare fu fatta dalla nobile casa Manna, stirpe illustre, ricca di beni immobili e prerogative gentilizie.
Muzio Manna, infatti, dottore in utroque jure, nel 1670 autore di una “Descrizione della città di Bisignano”, sosteneva che dalla sua stirpe, la gens Manlia, venuta in Bisignano con l’arrivo della colonna latina dei Sabini e di Gneo Manlio, rifugiatasi in Capua durante le scorrerie saracene e ritornata dopo la definitiva cacciata di questi, fossero derivati Sant’Artemio, che fu martirizzato nel secolo IV, il vescovo Anderamus e, infine, anche il San Proclo.
(Autore: Eros Laipi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Proclo di Bisignano, pregate per noi.

*San Quodvultdeus - Vescovo di Cartagine (19 febbraio)

Martirologio Romano:
A Napoli, deposizione di San Quodvultdeus, vescovo di Cartagine, che mandato in esilio insieme al suo clero dal re ariano Genserico e messo su navi in disuso senza vele né remi, contro ogni speranza approdò a Napoli, dove morì confessore della fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Quodvultdeus, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (19 febbraio)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

Torna ai contenuti